Cartelle esattoriali – La guida definitiva

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Cartelle esattoriali – La guida definitiva

La guida definitiva alle cartelle esattoriali

News 2023: Scopri come rottamare le cartelle esattoriali (guida)

INDICE:

  1. Le cartelle esattoriali
  2. Come difendersi dalle cartelle esattoriali: giurisdizione e competenza territoriale
  3. I termini per contestare le cartelle esattoriali ed avvisi di addebito
  4. Gli elementi che consentono l’impugnazione
  5. La notifica delle cartelle esattoriali e le ipotesi di nullità
  6. Mancanza o carenza di motivazione
  7. La prescrizione del credito proveniente dalle cartelle esattoriali
  8. Condono
  9. Rottamazione delle cartelle esattoriali
  10. Saldo e stralcio
  11. Come si pagano le cartelle esattoriali
  12. Come si verifica se le cartelle esattoriali sono state cancellate?

 

Una sintesi teorica e pratica di tutto ciò che serve sapere per conoscere e gestire le cartelle esattoriali:

Partiremo dal descrivere che cosa sono le cartelle per poi affrontare il tema di come difendersi identificando i termini che si hanno a disposizione per contestare a seconda della natura del credito e della tipologia del vizio.

Si analizzeranno i motivi di contestazione legate a tre macrocategorie:

  • Vizi ed errori nella notifica
  • Carenze dal punto di vista della motivazione
  • Problemi di prescrizione

Ci occuperemo poi di misure di cui si sente spesso parlare quali il Condono, la Rottamazione ed il saldo e stralcio.

Chiuderemo infine con alcune note operative su verifiche e modalità di pagamento delle cartelle

Le cartelle esattoriali

Cartella di pagamento” così viene definita dall’Agenzia delle Entrate una cartella esattoriale: essa rappresenta un atto amministrativo destinato alla riscossione del credito tramite il ruolo.

Per recuperare il credito viene incaricato un “concessionario”, il quale dovrà:

  1. notificare al debitore il provvedimento ( 25, D.P.R. n. 602/73).
  2. attivare contro il cittadino titolare del provvedimento tutte le azioni esecutive destinate a tutelare il credito.

È bene evidenziare che l’atto esattoriale, è un vero e proprio titolo esecutivo (art. 474 c.p.c.), esattamente come una sentenza, un decreto ingiuntivo o un’ordinanza.

Questo aspetto – l’esecutività del titolo – permette al concessionario di richiedere un pignoramento ai danni del destinatario dopo 60 giorni dalla notifica della citata cartella esattoriale (art. 50, comma 1, D.P.R. n. 602/73).

Ciò non avviene in specifici casi previsti dalla legge, come ad esempio:

  • pagamento integrale delle somme;
  • presentazione d’istanza di rateazione presso l’Ente della Riscossione;
  • sospensione amministrativa;
  • sospensione giudiziale;
  • impugnazione della cartella esattoriale tramite la presentazione del reclamo.

La cartella esattoriale non possiede una “forza” autonoma: la sua efficacia è generata dall’esistenza del ruolo, ossia “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario” come definito nel D.P.R. n. 602/73, lett. b.

Il ruolo è, in via pratica, il documento redatto dall’ufficio creditore (Inps, Agenzia delle Entrate, etc.) e deve contenere degli elementi essenziali identificabili con la lettura del successivo art. 12 (“formazione e contenuti dei ruoli”):

  • le somme dovute;
  • gli estremi identificativi del debitore (“codice fiscale del contribuente” o partita Iva);
  • la data in cui il ruolo diviene esecutivo”, come specificato all’ultimo capoverso dell’art. 12 cit. (“con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”);
  • il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”.

Si evidenzia come sia l’ultimo punto a divenire elemento essenziale per la validità del ruolo e per la collegata cartella esattoriale: senza di esso non potrebbe essere garantito il diritto di difesa del debitore.

 

Come difendersi dalle cartelle esattoriali: giurisdizione e competenza territoriale

Il percorso di difesa del contribuente parte dall’identificazione del giudice competente.

La giurisdizione viene determinata in base alla natura degli importi richiesti per mezzo della cartella di pagamento, ad esempio:

  • per le cartelle esattoriali aventi ad oggetto crediti tributari (ad esempio, imposte o tasse), è competente la Commissione Tributaria Provinciale;
  • per le cartelle esattoriali relative a contributi previdenziali (INPS) ed assistenziali (INAIL) è competente il Tribunale – Sezione Lavoro;
  • per le cartelle esattoriali riguardanti sanzioni amministrative sono competenti il Tribunale o il Giudice di Pace, secondo i criteri stabiliti dalla legge;
  • per le cartelle esattoriali attinenti a violazioni del codice della strada è competente il Giudice di Pace.

Il passaggio successivo è determinare la competenza territoriale dello stesso. In particolare:

  • per i contenziosi aventi ad oggetto le cartelle esattoriali portanti crediti tributari, è competente la Commissione Tributaria Provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ente che ha emesso la cartella di pagamento;
  • per i giudizi di opposizione a cartelle esattoriali/avvisi di addebito per crediti previdenziali ed assistenziali è competente il Tribunale – Sezione Lavoro del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Ente che ha emesso la cartella esattoriale/avviso di addebito, se si tratta di lavoro subordinato; altrimenti, se si tratta di lavoro autonomo, il Tribunale – Sezione Lavoro nella cui circoscrizione ha la residenza il contribuente;
  • per i giudizi di impugnazione delle cartelle esattoriali aventi ad oggetto sanzioni amministrative, è competente il Giudice (Tribunale o Giudice di pace) del luogo in cui è stata commessa la violazione;
  • per i giudizi riguardanti l’opposizione delle cartelle di pagamento riguardanti violazioni del codice della strada, è competente il Giudice di Pace del luogo in cui è stata commessa la violazione. 

 

I termini per contestare le cartelle esattoriali ed avvisi di addebito

L’opposizione alle cartelle di pagamento soggiace a termini di decadenza diversi tra di loro, i quali vengono stabiliti – anch’essi – in forza della natura del credito portato dal provvedimento esattivo:

  1. se la cartella di pagamento si riferisce a somme aventi natura tributaria, il termine per presentare ricorso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente è di 60 giorni decorrenti dalla notifica della cartella;
  2. se la cartella di pagamento/avviso di addebito attiene a crediti di natura contributiva o assistenziale, il termine per presentare opposizione avanti al Tribunale – Sezione Lavoro è di:
    • 40 giorni, decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento, qualora l’impugnazione attenga a vizi di carattere sostanziale (d. di merito), vale a dire tutti qui vizi che attengono all’esistenza del credito o all’entità dello stesso (come – ad esempio – contributi non dovuti o già versati, errato calcolo delle somme dovute a titolo di contributi o premi, intervenuta prescrizione del credito, etc.);
    • 20 giorni, decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento/avviso di addebito, nel caso l’impugnazione attenga a vizi di carattere formale, cioè relativi alla forma dell’atto ed alla sua notifica (ad esempio, mancata indicazione del calcolo degli interessi, mancata indicazione degli elementi essenziali di cui all’art. 30, comma 2, D.L. n. 78/10).

 

A riguardo, infatti, la contestazione per vizi formali rientra tra quelle disciplinate dall’art. 29, comma 2, D. Lgs. n. 46/99 e, pertanto, si configura come “opposizione agli atti esecutivi”, ai sensi dell’art. 617 c.p.c.

Di conseguenza, il termine per proporre tali contestazioni di carattere “formale” è – per l’appunto – di 20 giorni dalla notifica del provvedimento esattivo.

Infine, laddove avverso la cartella esattoriale/avviso di addebito il contribuente intenda lamentare sia vizi di merito che vizi di forma, in assenza di “istruzioni” da parte del Legislatore, è opportuno – ai fini cautelativi – presentare opposizione entro il termine “breve” di 20 giorni;

se la cartella di pagamento ha ad oggetto somme aventi natura di sanzione amministrativa o di violazione del codice della strada, il termine per proporre opposizione è di 30 giorni decorrenti dalla notifica.

 

Gli elementi che consentono l’impugnazione:

  1. Notifica, vizi ed ipotesi di nullità
  2. Mancanza di motivazione
  3. Prescrizione

A. La notifica delle cartelle esattoriali e le ipotesi di nullità

Quali sono i termini di validità – decadenza della cartella esattoriale tributaria (art. 25, D.P.R n. 602/73)?

Dopo che il creditore ha formato e trasmesso il ruolo all’Ente di Riscossione, quest’ultimo, ora nelle vesti di concessionario, deve informare e far confluire, nel perimetro giuridico del contribuente, la volontà dell’Erario di incasso di un credito.

La manifestazione di tale volontà si realizza nella cartella esattoriale.

L’art. 25, D.P.R. n. 602/73 norma le tempistiche di notifica delle cartelle esattoriali tributarie: “il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre” delle seguenti scadenze:

  1. del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36-bis10 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nonché’ del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”;
  2. del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36-ter del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973”;
  3. del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio”;

c-bis) “del terzo anno successivo a quello di scadenza dell’ultima rata del piano di rateazione per le somme dovute a seguito degli inadempimenti di cui all’articolo 15-te”.

È quindi possibile affermare che la notifica debba avvenire in precisi archi temporali, ai fini decadenziali, pena l’impossibilità per l’Erario di pretendere gli importi richiesti al cittadino.

Quest’ultimo però, anche con una notifica tardiva della cartella esattoriale, avrà comunque l’onere di eccepire tale questione all’interno del proprio ricorso per poter invalidare la domanda.

In riferimento all’ambito applicativo dell’art. 25 citato, il D. Lgs. n. 46/99, l’art. 23 ha esteso l’operatività della norma “decadenziale” anche all’Iva, dato che il citato D.P.R. n.n. 602/73 ha ad oggetto le imposte sui redditi poiché “i termini di decadenza di cui all’articolo 25, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applicano anche all’imposta sul valore aggiunto”.

Poiché il rispetto di tali termini ha natura tassativa il mancato rispetto degli stessi determina la nullità dei provvedimenti.

A conferma di tutto questo si veda l’orientamento della Suprema Corte che, per proteggere il contribuente da un’azione del fisco di durata indefinita, considera perentori i termini indicati nell’art. 25 del D.P.R. n. 602/73, (cfr., tra le altre, Cass. n. 10/04, Cass., n. 16435/09).

Attenzione: L’imposta di registro sottostà allo stesso termine decadenziale di cui all’art. 25 Dpr 602/72 La Corte di Cassazione con la sentenza 1527/17 la ha affermato che il termine decadenziale dell’art. 25 è “applicabile anche ai tributi indiretti” (compresa dunque l’imposta di registro).

Più in generale è possibile affermare i termini per la decadenza di cui all’art. 25 riguardano anche per i provvedimenti amministrativi derivanti da liquidazione dell’imposta di registro, anche se  tali atti amministrativi non possono essere qualificati all’interno della categoria degli accertamenti delle imposte.

Se così non fosse  l’art. 25 presterebbe permetterebbe una grave violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto genererebbe una disparità di trattamento tra contribuenti di “serie a” (destinatari di avvisi di accertamento in tema di Iva e imposte sul reddito) e di “serie b” (destinatari di avvisi da imposta di registro).

cartella esattoriale: la sua motivazione

Passiamo ora ad approfondire i casi di nullità o inesistenza della notifica

È bene ricordare che la cartella di pagamento costituisce l’unico caso in cui l’ordinamento riconosce la funzione di “veicolo del ruolo”: contemporanea funzione di titolo esecutivo e di atto di precetto.

Nel caso in cui l’esattore non abbia rispettato il corretto percorso di notifica della cartella esattoriale e/o non abbia garantito al contribuente l’effettiva conoscenza legale della stessa, la pretesa dell’erario è da considerarsi illegittima, a causa dell’assenza di un valido titolo che la legittimi.

L’art.25 D.P.R. n. 602/73, obbliga il riscossore a procedere alla notifica della cartella di pagamento nel rispetto delle modalità imposte dal successivo art. 26 (“notificazione della cartella di pagamento”).

Da un punto di vista pratico perché il Riscossore possa esercitare il proprio potere sarà necessario:

  • la formazione del ruolo da parte dell’ufficio impositore e trasmissione dello stesso all’agente della riscossione;
  • notificazione della cartella di pagamento nei modi ed entro i termini stabiliti dalla Legge.

Così sul tema la Cassazione, SS. UU. n. 16412/07:  “la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa”.

In termini pratici si può affermare che le cartelle esattoriali, solo nell’ipotesi in cui gli atti siano stati ritualmente notificati al contribuente, potranno rappresentare valido titolo esecutivo sia per l’adozione di una misura cautelare (ad esempio l’iscrizione ipotecaria), nonché per l’avvio della successiva fase di espropriazione immobiliare (ex art. 49, D.P.R. n. 602/73),

Le società di posta privata e la notifica da soggetti non legittimato

La cronistoria degli incarichi conferiti per la consegna di atti amministrativi ha subito diverse fasi.

  1. Con l’art. 4, comma 5, D. Lgs. n. 261/99 Poste Italiane S.p.a. viene riconosciuto “fornitore del servizio universale” postale, con conseguente affidamento esclusivo con “riserva” degli “invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie; per procedure amministrative si intendono le procedure riguardanti l’attività della pubblica amministrazione e le gare ad evidenza pubblica”.
  2. Con il D. Lgs. n. 58/11, sono stati limitati i servizi in esclusiva a Poste Italiane alle sole notifiche di atti giudiziari, nonché per le sanzioni amministrative derivanti da violazione del Codice della Strada (le notifiche di atti amministrativi possono quindi essere effettuate anche da società di posta privata
  3. Con la legge n. 124/17 è stato abrogato l’art. 4, con conseguente parificazione (per la notifica di atti giudiziari, amministrativi e violazione del codice della strada) tra Poste Italiane S.p.a. e le aziende di posta privata.
  4. A complicare la cosa interviene l’art. 5 del D. Lgs. n. 261/99 che prevede “l’offerta al pubblico di singoli servizi non riservati, che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale, è soggetta al rilascio di licenza individuale”. Ne consegue che laddove l’Ente della Riscossione abbia affidato l’incarico della notifica della cartella esattoriale (ad esempio di natura tributaria) ad una società di posta privata, alla luce delle precise differenze in virtù dei citati interventi legislativi, l’iter notificatorio potrebbe essere affetto da vizio di d. giuridica inesistenza.
  5. In ultimo la stessa Corte di Cassazione [con sentenze n. 234/18, n. 10348/18, n. 8089/18 e n. 13855/18], ha ribadito il principio dell’inesistenza giuridica della notifica effettuata mediante un “servizio gestito da un licenziatario privato e, come tale, non suscettibile di sanatoria”.

Va evidenziato che la notifica a mezzo di società di posta privata della cartella di pagamento conduce all’inesistenza giuridica, non applicandosi qualsivoglia sanatoria ex art. 156 c.p.c.

Mancata identificazione del notificante: il soggetto deve essere un messo comunale o un messo speciale autorizzato dall’Ufficio.

Il soggetto notificante una cartella esattoriale deve essere munito dei  poteri del messo a svolere il compito di notifica.

La norma di riferimento è l’art. 60, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 600/73, in cui è stabilito che “la notificazione degli avvisi è eseguita dai messi comunali ovvero dai messi speciali autorizzati dall’ufficio”.

Tale aspetto è previsto anche dall’art. 45 D. Lgs. n. 112/99, al comma 1, il quale statuisce che: “il concessionario, per la notifica delle cartelle di pagamento e degli avvisi contenti l’intimazione ad adempiere, può nominare uno o più messi notificatori”.

Consegna a persona diversa dal destinatario della cartella esattoriale

L’art. 60, comma 1, lettera b-bis) dispone: “se il consegnatario non è il destinatario dell’atto […] il messo dà notizia dell’avvenuta notificazione dell’atto o dell’avviso, a mezzo di lettera raccomandata”.

Normativa identica è prevista per le notifiche a mezzo posta, disciplinate dall’art. 7, comma 6, L. 890/82.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha affermato che “è necessario”, ai fini del perfezionamento notificatorio, “l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa, non essendone sufficiente la sola spedizione”, Cass. n. 2868/17.

Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17235/18 ha stabilito che “nel caso il consegnatario non sia il destinatario dell’atto o dell’avviso il messo […] deve dare notizia dell’avvenuta notificazione a mezzo di lettera raccomandata, […] sicché è necessario ai fini del suo perfezionamento che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti (ex art. 60, lett. b-bis – art. 7, comma 6 cit.) incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomanda informativa”.

Con la sentenza n. 3732/19, la Cassazione ha dichiarato la nullità di una cartella di pagamento notificata ex art. 60 bbis, in quanto l’Agente della Riscossione “non ha dato atto dell’indefettibile requisito, ai fini della validità della notificazione dell’invio della raccomandata informativa. Non è stata, inoltre, pacificamente, fornita prova dell’invio della raccomandata informativa, né della ricezione della stessa.

Va quindi aggiunto il requisito essenziale  per cui il messo deve inoltrare formale “notizia dell’avvenuta notificazione”, mediante “lettera raccomandata” al contribuente interessato.

Secondo i giudici della Suprema Corte, “il tenore letterale della disposizione configura la raccomandata informativa come un adempimento essenziale del procedimento di notifica”.

Cartella esattoriale per temporanea assenza del destinatario (c.d. irreperibilità relativa)

La menzionata attività di notifica per irreperibilità relativa o temporanea (art. 140 c.p.c. – art. 8, comma 4, L. 890/82) non si può sottrarre al compimento di specifici adempimenti da parte del notificante, pena la nullità di tutto l’iter notificatorio.

In caso di assenza temporanea del destinatario, si è prevista le seguenti attività:

  1. deposito del plico presso la Casa Comunale;
  2. affissione avviso del deposito in busta chiusa e sigillata presso la porta della residenza del contribuente;
  3. gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.

Ne consegue il combinato disposto prodotto dalla visione della Suprema Corte:

  • sentenza n. 11993/11 “raccomandata informativa” (di cui all’art. 140 c.p.c.), rappresenta “un momento strutturale del procedimento notificatorio”, il cui vizio di notifica fa sorgere “l’inesistenza della notificazione”.
  • Sentenza n. 25079/14 “il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita dunque del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, con la conseguenza che, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla”.

Cartella esattoriale notificata via PEC

Anche l’invio del provvedimento attraverso la posta elettronica certificata del contribuente può identificare un vizio di notifica.

L’elemento da esaminare è relativo dalla sussistenza della firma digitale, da apporre sulla medesima cartella da parte dell’Ente della Riscossione (D. Lgs. n. 82/05, art. 24).

L’art. 24 denominato con il titolo di “firma digitale”, stabilisce:

la firma “deve riferirsi in maniera univoca” al soggetto notificante;

il comma 3 impone che al momento dell’apposizione (“sottoscrizione”) della firma digitale, questa non deve essere “scaduta” oppure non deve risultare “revocata o sospesa”.

il comma 4-bis stabilisce inequivocabilemte che: “l’apposizione a un documento informatico di una firma digitale […] basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione”.

Così sempre la Corte di Cassazione sentenza n. 16173/18: “l’Agente delle Riscossione, di fronte alle contestazioni dell’opponente relative alla notifica a mezzo PEC delle cartelle di pagamento (come nel caso odierno, cfr. capitolo 2 del ricorso), ha l’onere di dimostrare di aver provveduto alla regolare notifica di esse in forma di documento informatico (e non di mera copia informatica di documento cartaceo, OSSIA PRIVO DI FIRMA DIGITALE), di documentare la corrispondenza tra il messaggio originale e quello trasmesso via PEC, nonché la regolarità della trasmissione telematica dell’atto”.

La pietra angolare sul tema della necessaria firma digitale, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 10266/18 ha definito la regola per la verifica della corretta notifica della cartella in modalità di posta elettronica certificata.

La “pietra angolare” della questione è dunque dalla prova circa la sussistenza della firma digitale, secondo le Sezioni Unite: ciò che rileva è che il documento informatico sia sottoscritto digitalmente, indipendentemente dal formato del documento (sia esso “.P7M” o “.PDF”), in forza delle garanzie che la firma digitale conferisce al documento medesimo, ossia “autenticità (perché garantisce l’identità digitale del sottoscrittore del documento), integrità (perché assicura che il documento non sia stato modificato dopo la sottoscrizione), non ripudio (perché attribuisce validità legale al documento)”.

Pertanto, solo il documento informatico su cui è apposta la firma digitale è munito delle oggettive caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, oltre a consentire l’identificazione della paternità dell’atto, tali da renderne valida la notifica a PEC.

Cartella esattoriale proveniente da indirizzo PEC del mittente non presente negli Elenchi Pubblici

Oltre alla precedente e consolidata questione della corretta firma di una notifica tramite posta elettronica certificata è in aumento la presenza di cartelle trasmesse da un indirizzo PEC non attribuibile al notificante.

Da un punto di vista normativo, l’art. 16-ter del D.L. 179/2012, convertito in Legge n. 221/2012 recita testualmente: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ossia – come già accennato – IPA.

In questi anni è emerso chiaramente che l’Agenzia delle Entrate – Riscossione non utilizzi l’indirizzo PEC “ufficiale” – protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it. – in piena violazione della normativa vigente.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17346/19: “sulla considerazione che la modalità di perfezionamento della notificazione telematica postula “che la notificazione provenga da un indirizzo Pec (..) a un altro indirizzo Pec, sempre risultante da pubblici elenchi” e che “giunga a compimento il meccanismo telematico che assicura la certezza della procedura di recapito”.

Dunque la notificazione è irrimediabilmente viziata laddove il notificante abbia utilizzato un “indirizzo non risultante dai predetti elenchi”.

B. Mancanza o carenza di motivazione

I titoli amministrativi – come appunto le cartelle esattoriali – sono regolati da specifiche norme (art. 7, Legge n. 212/2000, art. 3, Legge n. 241/90) che impongono:

  • la presenza della motivazione della cartella;
  • l’esplicita chiarezza della motivazione.

Basti leggere l’art. 7 dello Statuto dei Diritti del Contribuente (Legge n. 212/2000) che al comma 1 stabilisce: “gli atti dell’amministrazionedevono essere “motivati”, “indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione” dell’Erario.

Nonché: “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Non è quindi sufficiente che il documento venga richiamato all’interno della motivazione ma è necessario che gli atti a cui fa riferimento “siano allegati o comunicati al contribuente” (Corte di Cassazione 1825/2010).

Innanzitutto, è necessario precisare sin da subito che tali regole sono applicabili anche agli Enti della Riscossione, alla luce del disposto dell’art. 17 della Legge n. 212/2000, rubricato “concessionari della riscossione”, il quale dispone che i principi dello Statuto in parola trovano legittima operatività anche nei confronti dei soggetti “che rivestono la qualifica di concessionari” e “riscossione di tributi di qualunque natura”.

L’adeguata motivazione dell’atto esattivo deve essere intesa, dunque, in un rapporto con il diritto di replica del contribuente (art. 24 Cost.), il quale deve essere posto nella condizione di esercitare pienamente il proprio diritto difesa (si vedano in merito Cass. n. 18306/2004, Cass. n. 10209/2010, Cass. n. 2907/2010).

Il difetto di motivazione rende pertanto nullo il provvedimento esattoriale notificato al contribuente per violazione del diritto di difesa, a mente degli artt. 6 e 7 della Legge n. 212/2000 in tema di “diritto ad una buona amministrazione”, come anche previsto dall’art. 41, comma 2, punto 3, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

È possibile quindi affermare che è annullabile la cartella esattoriale, laddove quest’ultima sia carente “di qualunque motivazione o spiegazione”.

Il destinatario della cartella esattoriale con la semplice lettura del provvedimento notificato deve poter comprendere la causa giuridica della richiesta da parte della pubblica amministrazione.

In altre parole, la cartella di pagamento – in quanto primo atto impositivo ed esattivo – deve essere motivata, ossia deve contenere i presupposti di fatto e di diritto da cui deriva la pretesa.

Carenza di motivazione della cartella di pagamento illegittima per omessa specifica del calcolo analitico degli interessi moratori, art. 30, D.P.R. n. 602/73.

La Corte di Cassazione ha statuito che la cartella impugnata è affetta da carenza di motivazione se non è presente il calcolo analitico degli interessi moratori.

Per poter provare la correttezza degli importi richiesti a titolo di “interesse di mora”, nonché la trasparenza della richiesta di tale voce devono sempre essere esplicati i calcoli producenti tali crediti (art. 30, D.P.R. n. 602/73).

È inequivocabile, secondo il punto di vista della Corte di Cassazione, la nullità dell’atto di riscossione producente soltanto la somma totale degli interessi dovuti, senza che siano evidenziate le modalità di calcolo utilizzate nonché le specifiche aliquote utilizzate.
Assenza di informazioni che
obbligherebbe il contribuente, per poter ricostruire gli importi richiesti, a dover effettuare complesse indagini, fuori dal suo ambito di competenza, (Cfr. Cass., sent. 21.03.2012, n. 4516; Idem Cass., sent. 26.03.2014, n. 7056):  “la cartella di pagamento degli interessi maturati su un debito tributario deve essere motivata […] dal momento che il contribuente deve essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi”.

Sul tema la nullità della cartella si determina: “se reca la sola indicazione […] dell’ammontare degli interessi, senza specificazione del tasso applicato e delle somme sui quali essi erano stati calcolati, suddivise tra imposte dirette, imposte indirette, addizionali regionali ed Irap. Risulta pertanto corretta l’affermazione del giudice a quo secondo cui la genericità di tali indicazioni non consentiva alla società di verificare la fondatezza, sia nell’anche nel quantum, della pretesa impositiva dedotta nella cartella e dunque di esercitare pienamente, rispetto ad essa, il proprio diritto di difesa”.

Se un contribuente contesta la carenza di motivazione della cartella esattoriale impugnata non è raro assistere all’integrazione della carenza da parte dell’ente nel successivo atto difensivo, in esso verranno rappresentate le ragioni della richiesta da parte dell’Erario.

Tale integrazione costituisce un’integrazione c.d. postuma della motivazione, qualificata come inammissibile dalla giurisprudenza di legittimità.

Poiché secondo la Corte di Cassazione l’art. 7 della Legge n. 212/2000 impone un’adeguata motivazione ab origine non è consentito all’Ente integrare o modificare la motivazione nel corso del processo tributario: “il processo tributario ha natura impugnatoria, sicché l’Amministrazione finanziaria non può modificare” o integrare “in ragione delle contestazioni del contribuente, le motivazioni poste a fondamento dell’atto impositivo” (Cass. n. 28655/18).

C. La prescrizione del credito proveniente dalle cartelle esattoriali

Sul tema della prescrizione del credito è necessario partire dalla Corte di Cassazione, con la nota sentenza a Sezioni Unite, n. 23397/16: la scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento, nonché avvisi di addebito INPS produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.

Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato”. Tale meccanismo “si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.

Sotto l’ambito dell’estinzione per prescrizione “breve” delle cartelle tributarie, si segnalano le seguenti decisioni della Corte di Cassazione: cfr. n. 20213/15, nella quale è stato osservato che “l’applicabilità del termine prescrizione ordinaria [decennale] è tutta riferibile a titoli di accertamento o condanna divenuta definitiva [sentenza passata in giudicato]” ma “non a cartelle esattive”.

La ratio di tale orientamento è il seguente: i provvedimenti esattoriali dell’ente della Riscossione, i quali prescindono “dal previo accertamento dell’esistenza del titolo, non possono per questo considerarsi rette dall’irretrattabilità e definitività”.

Dunque il creditore, laddove il proprio titolo esecutivo sia costituito da una cartella di pagamento o da avviso di accertamento, non potrà beneficiare del termine di prescrizione lungo; dunque, in dette ipotesi si applica la prescrizione di 5 anni.

Infine, la successiva pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 30362/18 ha confermato l’orientamento in tema di prescrizione quinquennale del credito erariale: “la prescrizione quinquennale è giustificata da un ragionevole principio di equità, che vuole che il debitore venga sottratto all’obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute tutte le volte che queste non siano state tempestivamente richieste del creditore. Nel solco delle considerazioni che precedono si è inserita Cass., SS.UU., n. 23397/2016, la quale ha ampliato l’ambito d’applicazione della prescrizione breve. Infatti, mentre con la nota ordinanza n. 20213/15 la S.C. aveva affermato che la prescrizione quinquennale operava laddove il titolo esecutivo fosse costituito dalla sola cartella esattoriale dell’Ente della Riscossione, sicché nelle altre ipotesi di sussistenza del credito erariale (ad esempio, la notifica dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate) avrebbe dovuto essere introdotta la prescrizione decennale, il nuovo orientamento ha esteso i margini difensivi del cittadino, il quale potrà chiedere al giudice l’estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve, non soltanto nei casi di notifica di cartella esattiva, bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito, ecc..)”.

Per quanto attiene la prescrizione del credito derivante dalla Tassa automobilistica, l’art. 5 del D.L. n. 953/82 (modificato successivamente dall’art. 3 del D.L. 2/86 convertito nella legge 60/86), statuisce quanto segue: “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse dovute dal 1° gennaio 1983 per effetto dell’iscrizione di veicoli o autoscafi nei pubblici registri e delle relative penalità si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento”.

Anche la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere applicabile il termine di prescrizione triennale per ciò che attiene, appunto, la Tassa automobilistica.

La prescrizione quinquennale delle sanzioni tributarie (art. 20, comma 3, D. Lgs. n. 472/97) e degli interessi (art. 2948, n. 4, c.c.)

In materia di prescrizione, si rammenta che è prevista l’applicazione della prescrizione quinquennale per quanto concerne le sanzioni amministrative (tributarie), a mente dell’art. 20, comma 3, D. Lgs. n. 472/97, nonché degli interessi maturati sul capitale (art. 2948, n. 4, c.c.).

 

Condono, Rottamazione e Saldo e stralcio:

Condono

L’art. 4 del D.L. n. 119/18 ha previsto un vero e proprio condono per le cartelle di pagamento, con conseguente annullamento automatico delle stesse da parte del Fisco e, quindi, senza necessità di presentare alcuna istanza da parte del contribuente.

Il condono riguarda unicamente le c.d. mini-cartelle, vale a dire quei provvedimenti esattivi che contengono singoli ruoli di importo non superiore ad €. 1.000,00, affidati all’Agenzia delle Entrate – Riscossione nel periodo intercorrente dal 01 gennaio 2000 al 31 dicembre 2010.

L’importo della cartella deve essere calcolato alla data del 24 ottobre 2018 (data di entrate in vigore del D.L. n. 119/18) e deve comprendere la somma capitale, le sanzioni e gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo.

Inoltre, per individuare se il singolo carico sia stato affidato all’Ente della Riscossione nel periodo sopra indicato (1 gennaio 2000 – 31 dicembre 2010), occorre far riferimento alla data di formazione del ruolo, la quale è espressamente indicata in ogni cartella di pagamento, nel sezione “dettaglio dei debiti” (dette informazioni posso essere altresì ricavate accedendo alla propria posizione debitoria sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, oppure richiedendo agli sportelli dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione l’estratto di ruolo).

La cancellazione automatica delle cartelle di pagamento da parte dell’Ente della Riscossione deve (doveva) avvenire entro il 31 dicembre 2018.

Cartelle escluse dal condono

L’annullamento automatico delle (mini) cartelle di pagamento di importo non superiore ad €. 1.000,00 ex art. 4, D. L. n. 119/18 si applica – come visto – ai soli carichi trasmessi all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, con esclusione delle Casse di previdenza.

Inoltre, detto condono non si estende ad alcune tipologie di debiti, individuati esplicitamente dall’art. 4, comma 4, cit.:

  • debiti relativi alle risorse proprie tradizionali dell’Unione europea e all’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione; nello specifico: dazi doganali riguardanti gli scambi con paesi esteri non membri dell’Unione europea, prelievi sull’importazione di prodotti agricoli (anche in questo caso da paesi extra UE) e dell’Iva all’importazione;
  • debiti derivanti dal recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione europea ovvero da condanne pronunciate dalla Corte dei conti.

Rottamazione delle cartelle esattoriali

La definizione agevolata dei carichi pendenti, meglio conosciuta come “rottamazione” delle cartelle esattoriali, è uno strumento agevolativo che consente al contribuente di estinguere i debiti iscritti a ruolo contenuti nelle cartelle di pagamento, versando le somme dovute senza corrispondere le sanzioni e gli interessi di mora.

A riguardo, l’ultima “rottamazione” in ordine di tempo, è la c.d. “rottamazione-ter” disciplinata dall’articolo 3 del D.L. n. 119/2018, il quale riguardava i carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1 gennaio 2000 al 31 dicembre 2017 con esclusione delle seguenti tipologie di crediti:

  • recupero degli aiuti di Stato considerati illegittimi dall’Unione Europea;
  • crediti derivanti da condanne pronunciate dalla Corte dei conti;
  • multe, ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;
  • sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti agli enti previdenziali.

La presentazione della domanda presso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione era prevista per lo scorso il 30 aprile 2019.

Successivamente, il D.L. n. 34/2019 (c.d. “Decreto Crescita”), convertito con modificazioni dalla L. n. 58/2019, ha riaperto i termini per aderire alla “rottamazione-ter“, fissando la nuova scadenza allo scorso 31 luglio 2019.

L’agevolazione interessava solo i debiti non ricompresi nelle dichiarazioni di adesione alla “rottamazione-ter” già presentate entro lo scorso 30 aprile 2019.

Il D.L. n. 119/2018 ha inoltre previsto l’accesso automatico alla “rottamazione-ter”, senza necessità di presentare alcuna dichiarazione di adesione, per i debiti che risultano:

già oggetto di “rottamazione-bis” (D.L. 148/2017);

già oggetto di precedenti rottamazioni intestati a soggetti che risultavano risiedere in uno dei Comuni del Centro Italia colpiti dagli eventi sismici del 2016 e del 2017.

Saldo e stralcio

Altro e diverso beneficio è quello introdotto dall’art. 1, commi dal 184 al 198 della L. n. 145/2018 (c.d. Legge di Bilancio 2019), denominato “Saldo e stralcio” delle cartelle, ossia una riduzione delle somme dovute, per i contribuenti in grave e comprovata difficoltà economica.

L’agevolazione riguarda solo le persone fisiche (e, quindi, non anche le persone giuridiche) e alcune tipologie di debiti riferiti a carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, in particolare:

  • i debiti derivanti dall’omesso versamento di imposte risultanti dalle dichiarazioni annuali e dell’attività di autoliquidazione;
  • i debiti derivanti dall’omesso versamento dei contributi dovuti dagli iscritti alle casse previdenziali professionali o alle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi dell’INPS con esclusione di quelli richiesti a seguito di accertamento, che versano in una grave e comprovata situazione di difficoltà economica.

A riguardo, occorre precisare che per i carichi derivanti dall’omesso versamento dei contributi dovuti dagli iscritti alle casse previdenziali professionali, l’applicabilità al saldo e stralcio è subordinata all’approvazione di un’apposita delibera di ciascuna Cassa.

I contribuenti che possono accedere al c.d. “saldo e stralcio” sono esclusivamente coloro che hanno l’indicatore della situazione economica (ISEE) del nucleo familiare non superiore a € 20.000, pagando una percentuale ridotta a titolo di capitale e interessi di ritardata iscrizione a ruolo, senza corrispondere sanzioni e interessi di mora, nello specifico:

  • 16% delle somme dovute a titolo di capitale e interessi di ritardata a ruolo con ISEE fino a euro 500;
  • 20% delle somme dovute a titolo di capitale ed interessi di ritardata iscrizione a ruolo con ISEE da euro 500,01 a 12.500,00;
  • 35% delle somme dovute a titolo di capitale ed interessi a ruolo con ISEE da euro 500,01 a 20.000,00.

Per usufruire del “saldo e stralcio”, la L. n. 145/2018 ha previsto la possibilità di presentare domanda all’Agenzia delle Entrate – Riscossione entro lo scorso 30 aprile 2019.

Successivamente, il D.L. n. 34/2019 (“Decreto Crescita“), convertito con modificazioni dalla L. n. 58/2019, ha riaperto i termini per aderire al “saldo e stralcio“, fissando la nuova scadenza per presentare la domanda di adesione allo scorso 31 luglio 2019.

L’agevolazione ha interessato solo i debiti non ricompresi nelle dichiarazioni di adesione alla “rottamazione- ter” o al “saldo e stralcio” già presentate entro lo scorso 30 aprile 2019.

Questioni operative

Come si pagano le cartelle esattoriali

Per effettuare il versamento degli importi indicati nella cartella di pagamento notificata, è possibile utilizzare diverse modalità:

  • utilizzare i bollettini di versamento precompilati contenuti all’interno della cartella di pagamento;
  • online sul sito di Agenzia delle Entrate – Riscossione (https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/); con carta di credito emessa in Italia alle poste e in banca;
  • tramite home banking del proprio istituto di credito;
  • presso gli sportelli dell’Agente della riscossione che li ha emessi.

Come si verifica se le cartelle esattoriali sono state cancellate?

Si può verificare l’effettiva cancellazione delle cartelle di pagamento di importo inferiore ad € 1.000,00 rientranti nell’annullamento automatico ex art. 4, D. L. 119/18, verificando dalla propria area riservata sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, oppure recandosi presso gli sportelli dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione e chiedendo copia dell’estratto di ruolo (compilando il Modello RD1 reperibile sul sito https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/modulistica/RD1.pdf).

In caso di mancata cancellazione delle cartelle di pagamento, il contribuente può segnalarlo all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, mediante raccomandata a.r. o a mezzo PEC, oppure recarsi presso gli sportelli della stessa.

 

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